Fiscal compact e fondo salva-Stati
Scritto da Barbamamma
26 Febbraio 2012 | Opinioni
Recentemente si parla di nuovi patti fiscali nell’Eurozona, ovvero del fiscal compact e del fondo salva-Stati.
Vediamo di capire che cosa sono: saperlo è importante perché in futuro cambierà notevolmente le nostre vite, anche se apparentemente sembra un argomento lontano dalle problematiche quotidiane di un cittadino.
Questi sono i due trattati inter-governativi importanti per il futuro europeo:
- trattato che istituisce il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES alla francese o ESM all’inglese), altrimenti conosciuto sulla stampa come “fondo salva-Stati”.
- trattato sulla stabilità, coordinazione e governance dell’Unione economica e monetaria
Trattato ESM
Prenderà il posto dell’ESF finanziando un Paese membro in difficoltà se mette a rischio la zona euro, secondo condizioni ben precise. Questo meccanismo potrà emettere strumenti finanziari (come obbligazioni) ma potrà prendere fondi anche tramite accordi di cooperazione con Stati non membri o istituzioni come il FMI.
Quale è il contenuto?
- l’ESM non presterà fondi propri agli Stati in difficoltà ma il sistema si basa su un capitale garantito dagli Stati membri per poter prendere a prestito dai mercati.
- l’ESM avrà piena personalità giuridica e capacità giuridica quindi potrà comprare e vendere beni immobili e mobili o fare contratti.
- tutti i suoi beni e fondi godono dell’immunità giudiziaria e saranno esenti da restrizioni, regolamenti, controlli e moratorie.
- una condizione di accesso all’assistenza è la ratifica del trattato di stabilità (sotto riportato).
Infine, la crescita riacquista un posto nell’agenda delle misure anti-crisi: se ne parlerà nella riunione del Consiglio ai primi di marzo per evitare che l’Europa si avviti in una spirale deflazionistica di austerità e insostenibilità dei debiti. E’ infatti questo rischio il motivo di certi livelli di spread e dei dubbi sulla capacità di sopravvivenza dell’euro nel medio termine.
Questo trattato dovrebbe entrare in vigore a luglio 2012 dopo ratifica dei rispettivi parlamenti. Se infatti la firma di un trattato viene dal potere esecutivo (governo) la sua ratifica viene invece dal potere legislativo (parlamento).
Trattato sulla stabilità, coordinazione e governance in seno all’Unione economica e monetaria
Chiamato anche « fiscal compact » o « patto budgetario » è nato dal summit del 9 dicembre 2011 con obiettivo il rafforzamento di budget, doveva essere un trattato comunitario ma visto il rifiuto di firma di GB e Repubblica Ceca è diventato un trattato inter-governativo.
Qual’è il suo contenuto ?
Indicazione della famosa « regola d’oro » ovvero affermare il principio di equilibrio di budget nelle rispettive leggi costituzionali, limitazione del deficit strutturale allo 0,5% del Pil e meccanismo di controllo automatico da parte della Corte di Giustizia Europea che veglierà sulla corretta trasposizione di questa norma, e in caso di mancato rispetto potrà anche imporre multe pari allo 0,1% del Pil.
Quanto al debito, è stata confermata la soglia del 60% e il ritmo medio di riduzione pari a un ventesimo all’anno. Tuttavia si valuterà l’andamento del ciclo economico e dei cosiddetti “fattori rilevanti” come richiesto dall’Italia.
Si afferma l’aumento delle competenze della Commissione europea i cui poteri erano già stati ampiamente aumentati lo scorso autunno in occasione della riforma del patto di stabilità e crescita. Ad esempio essa ha oramai un potere di controllo e di sanzioni semi-automatico per mezzo della regola della maggioranza qualificata rovesciata. Per entrare in vigore, le decisioni della Commissione non devono ottenere più l’avallo esplicito del Consiglio.
Quindi le due regole importanti per gli Stati riguardano il pareggio di bilancio, o meglio il divieto per il deficit strutturale di superare lo 0,5 per cento del Pil nel corso di un ciclo economico, ed il percorso di riduzione del debito pubblico rispetto al Pil: ogni anno dovrà scendere di 1/20 della distanza tra il suo livello effettivo e la soglia del 60%.
La norma sul pareggio di bilancio, è tuttavia il fulcro su cui si regge il sistema perché solo in presenza di bilancio in pareggio non si genererà nuovo debito, ovvero il debito in euro resterà il medesimo, in quanto ogni variazione del Pil nominale si tradurrà soltanto in una variazione del rapporto debito/Pil.
Ad esempio, per rispettare la regola di 1/20 per il pareggio di bilancio:
- con un debito al 120% del Pil , per avere pareggio il Pil nominale dovrà crescere del 2,5%;
- avendo un debito al 100% la crescita nominale dovrà essere del 2% ; e così via..
In periodi senza congiuntura economica si tratta di valori raggiungibili come avvenuto nei primi anni del 2000 che hanno visto una crescita reale bassa ma una nominale media del 3,6% annuale. In periodi di congiuntura o recessione il Pil nominale può crescere poco o diminuire ma in tal caso entrano in campo le attenuanti della regola. Infatti si prende a riferimento la crescita nominale e non reale cioè al netto dell’inflazione.
I grafici e commenti del prof. Giuseppe Pisauro spiegano bene le proiezioni del trend debito /Pil.
Il primo grafico mostra la dinamica del rapporto debito pubblico/Pil in Italia a partire dal 2010. Si parte dal 118,4 registrato per il 2010. La discesa inizia a essere significativa, per effetto delle manovre già approvate, nel 2013 e poi prosegue, secondo la regola, a un ritmo decrescente: da una riduzione di 2,7 punti nel 2014 a circa 2 punti nel 2018, a circa un punto nel 2030. La regola non richiede una riduzione del debito di 3 punti l’anno (un ventesimo della differenza tra 120 e 60) per vent’anni. Pian piano che il debito/Pil scende, la differenza tra il suo valore e la soglia del 60 per cento si riduce e, quindi, si riduce anche 1/20 di quella differenza. Naturalmente ciò allunga il periodo necessario per avvicinarsi al fatidico 60 per cento. Partendo dal livello attuale, la regola comporta per l’Italia nel 2033 un rapporto ancora all’80 per cento.
Quale saldo di bilancio sarà necessario in futuro per ottenere questi risultati? Naturalmente dipenderà dal tasso di crescita del Pil e dal tasso di interesse sul debito.
Il grafico 2 mostra l’avanzo primario e il saldo totale (indebitamento netto) necessari per rispettare la regola sul debito, proiettando nel futuro le ipotesi ufficiali per il 2014: crescita reale del Pil all’1 per cento, crescita nominale al 2,7 per cento, costo medio del debito al 5,5 per cento (quest’ultimo maggiore di 1,3 punti rispetto al valore previsto per il 2011). Sono ipotesi che non appaiono ottimistiche in un’ottica di lungo periodo.
Sotto queste ipotesi, l’avanzo primario dal 6,4 per cento previsto per il 2014 potrebbe scendere al 5,7 per cento l’anno successivo , al 4,5 per cento nel 2022 e così via. Ciò non richiederebbe il pareggio di bilancio, bensì sarebbe coerente con un disavanzo totale tra lo 0,5 e l’1 per cento del Pil lungo il periodo considerato. Ipotesi più favorevoli sulla crescita del Pil e sui tassi di interesse renderebbero ancora meno necessario il mantenimento del pareggio di bilancio.
Quindi la chiave di volta che attenua i timori di manovre aggiuntive per 45 mld annuali a causa della regola di riduzione del debito di 1/20 è proprio il fatto che si prende a riferimento la crescita nominale. Come indicato dal prof. Stefano Micossi, la regola del bilancio in pareggio “domina” quella della riduzione del debito se la crescita nominale del Pil è superiore al 2,5%; se non lo fosse, probabilmente si potrebbe invocare la clausola sulle ‘circostanze eccezionali’ per sospenderne l’applicazione. Il pareggio di bilancio quindi basta e avanza a garantire il rientro dall’eccesso di debito.
Considerazioni finali
Da quanto emerso ritengo siano da considerare alcuni punti:
- Crescita: è evidente che al di là del fatto di considerare la crescita nominale e non reale per il fiscal compact , questo tema, in termini reali è da trattare assolutamente. Infatti è solo la crescita reale che darà benzina all’economia. I prossimi mesi saranno quindi imperniati su questo tema a livello europeo. Un progetto anglo-italiano è al vaglio, e dalle prime indiscrezioni si tratta di misure assolutamente neoliberiste sulle quali sto preparando apposito articolo perché da esse si potrà capire la direzione che vuole prendere l’Europa, e su quali settori intende puntare.
- Spread: stando a bocce ferme anche con una crescita nominale bassa, è il tasso di interesse alto sul debito che può rovinare il gioco. Quindi gli spread sono dei sorvegliati speciali, andranno tenuti relativamente bassi perché il loro aumento e soprattutto la persistenza a lungo di spread elevati può condizionare il budget statale e di conseguenza rendere necessario un intervento di misure restrittive e di correzione (tradotto in termini più semplici: nuove manovre). «Gli spread sono stati sempre un potente motore per le riforme di diversi Governi. I Paesi quindi devono prendere le misure necessarie per il risanamento». Questo è quanto ha detto il presidente della Bce Mario Draghi intervenendo al Forum economico mondiale. Una dichiarazione realistica ma che ha dell’incredibile, in quanto nei Paesi democratici le riforme dovrebbero arrivare da itinerari di maturazione politica all’interno della società di un Paese, e non dettate da spread, ovvero spinte dalla speculazione finanziaria. Ma questo ci riporta al punto successivo.
- Sovranità: ormai l’erosione della sovranità nazionale dei Paesi membri che era in corso, oggi è in accelerata. Con la creazione dell’ESM si crea di fatto un organo finanziario europeo a tutti gli effetti. Mi è chiaro dove si voglia andare, anche su questo mi riservo di ritornare con apposito approfondimento. Patrick Le Hyaric, deputato al Parlamento europeo e direttore dell’Humanité sostiene che il pericolo dell’ESM sarà la riduzione dei diritti sociali senza che i parlamenti nazionali possano dire nulla in quanto enorme potere è dato a Commissione europea,Bce, Fmi senza che questi siano soggetti al suffragio universale.
- Finanza: alla fine ritorna sempre, l’ingegneria finanziaria dell’ESM ne è un esempio. Ma attenzione, nel trattato si prevede la possibilità di prendere fondi con cooperazione di altri Stati non membri: che si celi dietro questo la possibilità (o l’auspicio) che Paesi come i BRIC entrino ad investire per finanziare l’Europa?
Riferimenti
- Summit europeo del 9.12.11
- Governance economica, reazione degli eurodeputati al dibattito del 13.12.11
- Summit europeo del 30.01.2012
- Ansa
- La Voce
- Progetto definitivo del Trattato di stabilità
- Risoluzione del parlamento europeo del 2.2.2012 sulle conclusioni del Consiglio europeo
26 Febbraio 2012 | Opinioni
Tags: bce, esm, fiscal compact, fondo salva stati, mario draghi, premium