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Anche gli stati possono fallire

Da quando esistono gli stati esiste anche il debito pubblico, tuttavia il suo aumento, paradossalmente avvenuto negli ultimi decenni anche nelle fasi congiunturali favorevoli, ha assunto ora dimensioni minacciose, soprattutto dopo la crisi finanziaria.

Secondo uno studio condotto dal Fondo Monetario Internazionale il debito cumulativo dei paesi industrializzati del G20 salirà dal 78% del Pil del 2007 al 118% nel 2014.

L’ancoraggio della Grecia, di fatto insolvente, all’unione monetaria europea incute un’apparente sensazione di  sicurezza negli investitori, ma i default di Russia (1998), Argentina (2001) e Islanda (2008) hanno ripetutamente mostrato che anche gli stati possono fallire.

Se si aggiungono gli impegni a cui saranno chiamati a fare fronte il sistema sociale e quello sanitario, il debito sale in misura esponenziale e suscita interrogativi sulla finanziabilità futura delle promesse di pagamento di numerosi paesi, Italia tra i primi.

Secondo alcune stime il debito consolidato dei paesi industrializzati oscilla tra il 250 e il 500 percento del Pil. Non è necessario essere economisti per rendersi conto che trattasi di livelli insostenibili nel medio-lungo periodo.

Nel raffronto continentale, a mio parere (e non è la prima volta che lo dico), il Lussemburgo e la Svizzera si trovano in una posizione di eccellenza rispetto agli altri. E’ in questi due stati che, in un’ottica di diversificazione dei propri risparmi contro il rischio-paese, consiglio da sempre di convogliare una quota dei propri risparmi, senza farsi condizionare negativamente dal rendimento che si ottiene in essi, notoriamente basso proprio perché bassa ne è la rischiosità.

Scritto da Mauro Corradi

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