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Bitcoin, aspetti fiscali

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3 Settembre 2013   |   Moneta virtuale

Bitcoin, aspetti fiscali

Come tecnico, osservo il fenomeno dei Bitcoin da alcuni anni (sono nati nel 2009) e non ne ho finora parlato per un motivo molto semplice: si trattava di un argomento di nicchia, per quanto abbastanza diffuso, il cui interesse per i miei lettori poteva essere marginale a meno di non far parte degli addetti ai lavori in ambito IT e/o elettronico, o trader interessati a HYIP e bolle speculative.

Recentemente però vi sono stati i pronunciamenti ufficiali di tribunali tra loro distanti, ma di rilievo, che hanno di fatto equiparato i Bitcoin a una valuta corrente, aprendo quindi la strada a un suo riconoscimento giuridico al di fuori degli ambiti strettamente tecnici in cui era collocato. A questo si è aggiunto, oltre al mio interesse, anche quello di qualche lettore che mi ha contattato e delle prime realtà commerciali che anche in Italia hanno deciso di accettare questa valuta come forma di pagamento.

Cenni tecnici

Per chi non ne sapesse davvero nulla (ritengo una minima parte), posso dire brevemente che i Bitcoin sono delle monete virtuali gestite attraverso un software peer-to-peer opensource e gratuito distribuito tra tutti i partecipanti, che al suo interno immagazzina tutte le transazioni effettuate in passato tra tutti i nodi, valida i nuovi scambi e permette a chiunque di coniare “in casa” (mining) frazioni di queste monete virtuali in cambio di uno sforzo di calcolo elevato e in crescita esponenziale all’aumentare dei partecipanti.

Non mi dilungo oltre sugli aspetti tecnici, sottolineo solo che la natura peer-to-peer del software permette di rendere inefficaci gli attacchi informatici rivolti a un solo nodo o a un gruppo di nodi e per la stessa ragione non sono possibili censure, mentre gli scambi avvengono tra nodi riconoscibili solo come chiavi cifrate, preservando la vera identità di chi paga o riceve la somma espressa in Bitcoin, che può restare anonima, pur potendo tracciare il trasferimento.

Questo non elimina tutti i problemi di sicurezza, che al contrario diventano aspetti ancor più rilevanti (sono noti eclatanti i casi di furti di Bitcoin ad esempio), ma in questa sede vorrei però cercare di affrontare gli aspetti fiscali di chi risiede in Italia e anche in assenza di pronunciamenti specifici, vuole assolvere correttamente alle proprie incombenze con l’erario se sceglie di utilizzarli.

Scambio

Al di là dei riconoscimenti giuridici, la valuta è conosciuta e utilizzata de-facto. Molti e-commerce hanno adottato questa modalità di pagamento, così come esercizi commerciali fisici.

In Italia non mi risulta vi sia alcuna indicazione in merito alla regolamentazione di chi vuole utilizzarla, né è previsto alcun obbligo per i commercianti che vogliano scegliere una forma di pagamento rispetto ad un’altra (fermi restando gli obblighi di tracciamento previsti per transazioni superiori a 1000 euro). Dal punto di vista giurotecnico rappresentano una sfida e iniziano a comparire studi legali che prestano consulenza specifica sui Bitcoin, pur non esistendo una letteratura specifica.

Per la loro natura, i Bitcoin sono slegati dai circuiti bancari (e quindi dall’influenza e controllo dei singoli stati), ma è chiaro che chiunque può accettare di scambiarli invece che con merci o servizi, direttamente con valute correnti. Con il tempo sono nati degli exchange (siti di cambio) in cui viene stabilito il fixing in tempo reale tra Bitcoin (abbreviati in BTC) e le principali valute, sulla base degli scambi effettuati presso l’exchange.

Al pari della moneta, anche tali exchange non hanno un riconoscimento giuridico (né potrebbero averlo, dato che in tal caso la moneta non sarebbe più slegata dai circuiti bancari), ma hanno una “reputazione” digitale costruita negli anni per l’elevato numero di utenti che li utilizza e li ha utilizzati.

Per stabilire quindi in euro quanto vale 1 BTC, posso consultare la “media pesata” degli scambi registrati nelle precedenti 24 ore presso i principali exchange online, mentre per lo scambio posso usare gli stessi exchange o posso rivolgermi a piazze pubbliche in cui i singoli partecipanti stabiliscono per ogni transazione l’equivalente in valuta che sono disposti a scambiare.

Dichiarare sì o no?

Per cifre modiche e per la corrente di pensiero che assimila gli scambi effettuati con Bitcoin al baratto o al certificato monetario (es. francobolli), parrebbe logico trascurare la dichiarazione degli stessi. Ovviamente in caso di scambi rilevanti (per il Fisco) va dichiarato comunque un flusso assimilabile alla valuta, anche perché magari stiamo spendendo per acquistare dei beni controllati dal redditometro e dobbiamo giustificarne l’origine (magari li abbiamo “minati”).

Come stabilire l’entità o meglio la soglia oltre la quale preoccuparsene?

Trattandosi di una valuta priva di nazionalità, può essere corretto considerarla comunque estera e ricadere quindi nel Modulo RW come redditi diversi. Logica vorrebbe quindi applicare obblighi dichiarativi per somme superiori a 10mila euro.

Restano aperti però gli interrogativi su quale cambio adottare per compilare il Modulo (non ne esiste uno ufficiale dell’Agenzia delle Entrate, valido a fini dichiarativi) e come gestire eventuali plus (o minus) valenze tra un cambio e l’altro, che possono essere rilevanti.

*** wok in progress ***

Scritto da Massimiliano Brasile

Massimiliano Brasile

Ingegnere, autore di svariati articoli tecnici nel settore IT, appassionato di finanza personale, crawling e android. Vedi il profilo anche su Google+.

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3 Settembre 2013   |   Moneta virtuale

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